Ricordando Rostagno e la forza del suo giornalismo

Ricordando Rostagno e la forza del suo giornalismo
Domani, 26 settembre, sarà ricordato a Valderice nel 32.mo anniversario del suo omicidio Mauro Rostagno. La manifestazione, organizzata dal Comune , dalle Associazioni “Ciao Mauro”, Libera, Articolo 21inizierà alle 10,30 presso la stele collocata sul luogo dell’omicidio, in contrada Lenzi. Alle 12, al cimitero di Valderice, in prossimità della tomba di Rostagno, artisti e studenti gli renderanno omaggio recitando e suonando frammenti musicali e teatrali. La manifstazione vuole anche essere una riflessione sulle vicende giudiziarie. Si attende la sentenza della Cassazione che doveva essere pronunciata a marzo ma che a causa dell’emergenza Covid è slittata a novembre. Il processo d'appello  ci ha consegnato una mezza verità, confermando l’ergastolo per il mandante dell’omicidio, il boss Vincenzo Virga, ma non per il presunto killer, Vito Mazzara.
Aspettando la piena verità sulla morte di Rostagno, assassinato a 46 anni, l’unica certezza che abbiamo e che nessuno può mettere in discussione è che è stata la mafia ad ucciderlo per il suo impegno di giornalista antimafia, per le verità che raccontava ogni giorno dagli schermi di RTC, una piccola televisione che nell’ultima delle tante vite di Rostagno, gli ultimi due anni della sua esistenza, era diventata, grazie a lui, un punto di riferimento per i trapanesi, che non si perdevano i suoi tg, in cui, con la schiettezza, la serietà, il rigore, la passione ma anche con l’acuta ironia che lo contraddistingueva,  raccontava cos’era la mafia e la mala politica,  la corruzione, gli intrecci mafia-politica-massoneria. Nell’ultima intervista, concessa a Claudio Fava poco prima di morire, spiegava che la lotta alla mafia è più semplicemente una lotta per il diritto alla vita. La mafia è sopravvivere, l’antimafia è vivere.
Dava fastidio. E prima di fermarlo hanno provato a sporcare la sua immagine. Non sono mancati i depistaggi nella vicenda giudiziaria, la pista interna a Saman che portò ad alcuni arresti, compreso quello della compagna Chicca Roveri, o quello di un regolamento di conti interno a Lotta Continua, per impedirgli di rivelare verità scomode sui suoi ex compagni,  tra cui Adriano Sofri, accusato dell’omicidio del commissario Calabresi. Anche Rostagno ricevette una comunicazione giudiziaria. Ne parlò in tv, spiegava  di attendere di capire da chi e perché veniva tirato in ballo in questa storia. Pronto a combattere e a spiegare che se qualcuno si illudeva di potergli mettere il bavaglio, si sbagliava di grosso.
Alla fine solo il piombo dei killer è riuscito a chiudere la sua bocca.
La mafia ha voluto eliminare un giornalista rivoluzionario, uno che diceva ai telespettatori «io sono più siciliano di voi, perché ho scelto di esserlo», uno che ha vissuto tante vite dando sempre tutto se stesso, che ha scelto di fare il giornalista e lo ha fatto nel modo migliore, andando tra la gente, usando la parola come una clava per infrangere il muro del silenzio.
Nella requisitoria del processo di primo grado il pm Gaetano Paci dirà di lui: dopo che è stato scandagliato ogni aspetto dell’esistenza poliedrica di Mauro Rostagno, resta lo splendore della sua figura umana e intellettuale.
E l’altro pm, Francesco Del Bene: «Io aspetto ancora una televisione che venga qui a parlare di mafia come ne parlava Rostagno».
E questa è la certezza di oggi, la mafia si è presa la sua vita, ma  Mauro Rostagno, dopo tanti anni di colpevole silenzio, oggi è più che mai vivo, rappresenta per tutti un modello di buon giornalismo di cui, in questi tempi così difficili per il mondo della stampa, sentiamo una grande necessità. Un  giornalismo che deve tornare tra la gente. Un giornalismo che torna a guardarsi intorno e a raccontare ciò che vede, come faceva Rostagno. Mettendoci la faccia, coraggio, creatività, passione civile.